L’Italia si è dotata di una legge sulle unioni civili solo nel 2016, dopo lunghe discussioni in Parlamento, sollecitato dalla Corte Costituzionale e dalle istanze della società civile.
La legge, nota come “Legge Cirinnà”, dal nome della prima firmataria, la deputata Monica Cirinnà, ha colmato un vuoto legislativo dalle conseguenze spesso drammatiche, cui solo la giurisprudenza suppliva in casi specifici sottoposti al suo giudizio. Basti pensare ai casi di impossibilità di visitare il compagno o la compagna in ospedale o di poter restare nell’abitazione alla loro morte.
Con l’emanazione della legge, mentre non è stato ammesso il matrimonio gay, due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, possono costituire unirsi civilmente e, dall’unione, discendono, come nel matrimonio, obblighi di assistenza morale e materiale, di coabitazione e di contribuzione ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze.
Anche i diritti patrimoniali e successori sono regolati come per gli sposi: gli uniti civilmente possono pattuire convenzioni matrimoniali, scegliere tra il regime di comunione o di separazione dei beni e istituire fondi patrimoniali per far fronte ai bisogni dell’unione. Dal punto di vista successorio, il superstite ha diritto all’eredità, all’abitazione familiare e all’uso dei mobili che la arredano, e gli spetteranno anche, ove sussistano le condizioni, la pensione di reversibilità e il TFR maturato dal compagno o compagna.
Differenza tra matrimonio e unione civile
Un’ importante differenza con il matrimonio riguarda invece l’obbligo di fedeltà, che nelle unioni civili non è previsto. Quale la ragione? Secondo gli studiosi il motivo va ricercato nel fatto che, mentre nel matrimonio la funzione genitoriale è prevista, nelle unioni civili fra persone dello stesso sesso il regime delle adozioni è regolato diversamente, cosicché il legislatore non ha ritenuto indispensabile la fedeltà, in assenza l’interesse dei figli alla durata dell’unione.

Le adozioni e la procreazione assistita
Circa le adozioni, il disegno di legge in origine prevedeva la cosiddetta stepchild adoption, ossia la possibilità per un partner di adottare il figlio minore dell’altro partner. Tuttavia per ragioni di carattere etico, ma soprattutto politico, dopo dibattiti accesissimi in Parlamento e nelle piazze, la previsione è stata eliminata per consentire almeno l’approvazione della legge.
Come spesso accade è stata allora la giurisprudenza della Suprema Corte a intervenire, interpretando la legge in maniera estensiva e più favorevole, agli uniti civilmente, certo, ma soprattutto al minore: con sentenza pubblicata il 22 giugno 2016, la Corte di Cassazione ha consentito a una coppia omosessuale unita civilmente di ricorrere alla stepchild adoption precisando che questa adozione “prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore, e può essere sempre ammessa purché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore”.
Al centro viene quindi posto l’interesse del minore a vedersi riconosciuta una relazione già consolidatasi in fatto con il genitore sociale e con i familiari di quest’ultimo, prima di tutto i nonni. Come scritto, l’attenzione è così stata spostata dal diritto alla genitorialità della coppia all’interesse alla genitorialità del minore.
Un paio di mesi fa è intervenuta anche la Corte Costituzionale, partendo dal caso di una coppia di donne recatesi all’estero per sottoporsi alla procreazione medicalmente assistita, vietata nel nostro Paese. Al ritorno in Italia, solo la madre biologica era stata riconosciuta come genitore, mentre l’altra donna non era stata ritenuta tale. La Consulta ha dichiarato incostituzionale, nel superiore interesse del minore, l’articolo 8 della Legge 40 del 2004 che prevedeva che il bambino nato con la PMA era figlio solo della donna che lo partoriva, riconoscendo invece per la prima volta un vero e proprio diritto del neonato, che godrà così di maggiori tutele anche economiche e per il caso di malattia o morte della madre biologica.
Una battaglia di civiltà portata avanti da numerosi tribunali che hanno deciso secondo l’orientamento indicato dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione.